Un amico mi disse
Un amico, nel dopopranzo, mi disse qualcosa che di colpo mi fece pensare a un nocciolo che veniva tirato via dalla polpa.
La parte più mobile, interna alla bocca, si era ritratta per lasciare spazio agli uncini che avrebbero azzannato l’endocarpo, più membranoso che legnoso, di quel frutto verbale. Divenne palese lo stringere dei denti su quella sfericità scivolosa che non tratteneva più le parole col loro giusto significato ma scivolavano via, dopo cinquant’anni, senza essere più speculari alla profondità del pensiero.
Le parole hanno uno strano destino. Quelle che nascono dalla necessità non hanno significati diversi da quello che esse stesse vogliono dire. Così: dammi del pane, ho fame, quando non viene detto a un filosofo, non manifesta significati diversi dalla richiesta necessità di acquietare lo stimolo. Le altre, quelle non strettamente necessarie all’immediatezza: dai, spostati, aiuto, vieni, ecc., quelle più numerose e abitualmente usate nel linguaggio, sono invece schiave della semantica. Giri di parole che la mala coscienza tramuta in sincerità, ma che non dicono tutta la verità. D’altra parte la verità non è un Cantico, ma s’avvicina più all’Apocalisse e, in certi casi, assume il nome di dialettica. Un’arte che non indaga tra le proprie e altrui possibilità di vita e pensiero, ma s’avvicina al limite delle convenienze persuasive, assumendo forme e colori inusuali, quelli della pietra e del giallo.
Non a caso la pietra e il giallo, due elementi molto simili alle parole; la pietra può essere liscia o aguzza e qualcuno disse …le parole sono pietre… Il giallo è sinonimo di gioia e felicità. Giotto e i suoi colleghi, lo usarono per far risplendere la gloria di Dio sulle pareti e sulle volte ma, purtroppo, come colore è anche sinonimo di un sentimento sibillino e tormentoso.
Un amico, dopopranzo, mi disse …l’artista non opera per mettere in evidenza la sua bravura per fare del bei fiori. Il suo obiettivo principale non è quello di guadagnarsi la pagnotta ma quello di esprimere l’unicità della sua anima. E se un artigiano viene chiamato artista, diventa un’altra cosa, sentendosi più importante.
Così, l’amico, disse.
Ora, succede che ho un altro amico. E’ pittore; nel senso che ha studiato per esserlo e continua ancora a farlo. Non di studiare, ma di dipingere. Non ha mai smesso, neanche quando, per guadagnarsi da vivere – dire pagnotta è meno fine, assomiglia a voler dire sbarcare il lunario – ha fatto il mestiere del corniciaio, facendolo anche bene. C’é di più: lui cerca sempre la bellezza, interiore e in ciò che fa, attraverso la composizione, il gesti, la pennellata, il colore e quant’altro. Lo conosco e so, di sicuro, che la bellezza ce l’ha dentro. Infatti, è un tipo mite, caritatevole, generoso, modesto e umile. In più, se non è un’aggravante, tende a fare emergere la propria bravura, attraverso il proprio lavoro. Tanto come farebbe qualsiasi persona che tende ad emergere in una qualsiasi professione.
A questo amico, io, dovrei dire la stessa cosa che un amico disse a me: …l’artista non opera per mettere in evidenza la sua bravura per fare del bei fiori. Il suo obiettivo principale non è quello di guadagnarsi la pagnotta ma quello di esprimere l’unicità della sua anima. E se un artigiano viene chiamato artista, diventa un’altra cosa, sentendosi più importante?
Ecco: Unicità dell’anima e pagnotta. Sacerdozio e derrate alimentari. Filosofia e cibo. Scienza e ignoranza. Stile e approssimazione. Presunzione e comprensione.
No! Non me la sento di dirglielo.
Non me la sento perché varrebbe a dire che ha idee confuse sull’arte; perché vorrebbe dire che ha sprecato gran parte della propria vita, convinto invece di aver percorso la giusta via.
I discepoli sono, a volte, miscredenti ma i professori, altre volte, sanno essere insolenti.
Un grande pagnottaro fu Dalì; tanto che lo stesso Breton anagrammò il suo nome in quello di avida dollars. El Salvador fu un accorto uomo d’affari: pubblicità, orologi, divani, illustrazione, ecc. Qualunque cosa facesse c’era il suo stile, la sua idea, il suo modo di esprimersi. Il suo lavoro, anche se di produzione commerciale, è stato osannato e definito anche bello. Un artifex -τεχνίτης – del pennello e un valente promoter della propria immagine. Vogliamo dire che per questo non è stato un grande artista?
…eppure Bruto dice che Cesare era ambizioso, e Bruto è uomo d’onore…
Onore, amicizia, rispetto, stima.
Qualcuno, tra gli artisti, pensa che la propria vita, più ancora delle proprie opere, sia, nel complesso, lo sviluppo della propria arte. Le opere prodotte, altro non sono che atomi, molecole, organuli e cellule della propria esistenza. Provenienti dalla stessa origine, si diramano nelle varie direzioni.
E quella vita, d’artista, é l’isola felice e il male oscuro che camminano al loro fianco per tutto il giorno; per tuti i giorni; per tutta l’esistenza. Nella notte e nel giorno. In mezzo e a tutto questo c’è il problema della pagnotta. Possiamo dire, adesso apertamente che si tratta di sbarcare il lunario – una forma verbale più vicina ed educata alla fatica quotidiana del darsi comunque da fare per tirare avanti; ma non il problema del pranzo e della cena, bensì quello della vita.
Non bisogna fare filosofia estetica quando non si riesce a considerare la vita degli altri.
Adesso, in questo modo, tutto diventa più chiaro e va’ oltre una professorale considerazione di che cosa è l’arte e di cosa siano gli artisti. Di ciò che di spirituale c’è nell’anima o in qualsiasi altra parte del corpo.
C’è da dire anche che il mio amico ha reso evidente il suo modo di intendere. Direbbe lui ..ognuno faccia come vuole; io, dal canto mio intendo così… ed io darei la colpa alla mia permalosità, al retropensiero e a mia …nonna, che parlava per proverbi e diceva spesso: cantami nora e sentimi soggira.