Uscendo dal giornale mi rintronavano ancora nella testa le ultime parole sputate dentro le orecchie dal  mio caporedattore: “…e non tornare se non hai in mano un racconto credibilmente interessante da sbattere in cronaca…..” E dopo, quando già scendevo dall’ultimo gradino: “…e senza storia non c’è bisogno che tu venga; riceverai a casa il saldo per quel poco  e male che hai scritto da quando sei arrivato qui!

Il metrò verde, linea due, come al solito, affollato nelle ore di punta.

Raggiungo l’interno della vettura di coda senza fare un passo, spinto alle mie spalle dalla premura cittadina. La fermata stazione centrale è follia allo stato puro intorno alle 18 di un qualsiasi giorno feriale. “Perfetto” -penso io- “rientro a casa e dico a Marilù che mi hanno fatto quasi viceredattorecapo della cronaca.” Lei che scrive su Donna Libera&sana si metterà a ridere incredula; alzerà come sempre la spalla destra con un sorriso idiota e dirà: “Allora festeggiamo; portami a cena fuori.” Io aprirò il cassetto della sua scrivania e alla pagina del 25 dicembre della sua agenda, prenderò in prestito 100 euro, ripromettendomi di ficcarceli dentro quando mi avranno pagato. Sono già sette cene e manco di settecento euro. 

Cena di pesce da Salvatore, a Musocco. Speso 84 euro e me ne avanzano sedici, che mi resteranno in tasca se non scrivo il pezzo per domani. Resto e mangio a casa. Se invece lo scrivo ne guadagno duecento: no, 184 meno i sedici.

E’ notte; a San Siro rumoreggiano: il Milan ha perso ancora.

Penso e ripenso dandoci dentro col pensiero: qualcosa dovrà venire fuori. Ma non come quella volta che, dandoci dentro, Marilù rimase incinta. Sua madre ne fece una tragedia: “…è che non ha un lavoro…è che ti vai a mettere con uno sfigato che non sa da dove viene , né dove andare….” E quella, Marilù: “No, è solo sfortunato; il suo difetto è quello di dire sempre ciò che pensa.” – “Già, come quando mi disse che avevo il culo al posto della bocca!” – “Si, ma tu gli avevi detto che sua madre aveva partorito uno stronzo” – “E perché, cos’è uno che ti mette incinta senza avere un lavoro?!

Meglio non pensare a quella vipera grassastronzavacca di mia suocera. Va in chiesa tutte le domeniche per poi parlar male della gente che incontra.

Alberto Chiarluna, un nome del cazzo con i chiari di luna che mi veleggiano sulla testa. Ma non proprio. Tra i diciannove e i ventiquattro anni ho avuto le mie buone possibilità. Avevo scritto un libro che ha venduto poco, quasi niente, un libro scritto veramente bene; roba che anche l’editore disse: “E’ una bella scrittura ma la gente non è fatta per le cose belle; non le capisce e visto che tuo padre ha una macelleria forse è meglio che gli dai una mano in negozio.” Rimasi due anni con mio padre, poi lui morì e i creditori se la presero. Mi ero laureato in lettere alla Statale e volevo fare il giornalista. Cominciai dal basso, fino alla cronaca. Facevo il giro delle  questure per avere notizie di stupri e furti. Una volta mi rubarono la fotocamera e per poco non mi stuprarono. Fu durante un       , vestito da donna, mentre scattavo foto compromettenti in un giro di prostituzione.

1/2notte e non ho ancora scritto niente. SanSiro si svuota.. Marilù non mi aspetta a letto perché da incinta non vuol fare niente. Per non togliere grazia al nascituro, dice lei. Potrei masturbarmi ed è come se lo facessi, in attesa della storia che dovrò  scrivere. La stamperò o la porterò in file a quello sputanelleorecchie del mio caporedattore. Lui telefonerà in amministrazione; io metterò in tasca i duecento eurozzi e poi ne ficcherò cento nella pagina del 25 dicembre.

Suona il telefono, lo prendo di corsa per non svegliare Marilù. Nel tentativo di  prenderlo sbatto violentemente il quinto dito del piede destro contro  un cazzo di piede spigoloso di un tavolino comprato all’ di Carugate, senza sapere cosa farcene ma solo perché il colore viola     piaceva tanto a Marilù. Le ricordava quel telo sulla +bara+ di suo padre. Agguanto la cornetta con la destra mentre la sinistra conforta il quinto dito che sanguina un pò e penso che se fossi stato un Giudice, avrei dato quattro anni di galera all’architetto Ikea. Avrei fatto chiudere quei negozi in tutta la Lombardia e poi avrei urlato dal balcone di casa mia e insultato chiunque avesse avuto il coraggio e la maleducazione di telefonare alla quasi mezzanotte di quella porca e dannata sera.

Pronto??!! S..sii, ch…chi..e è?” –  “Alberto, sono io; la mamma!

(..ma…a…fff..fa…nc..lo…brut…tronzio…hema…che…cazzzz. van cu..lo) – le parentesi significano  detto  nella   mia  testa –

Si mamma, cosa c’è, come mai chiami a quest’ora? Tua figlia dorme.”

“No, è che mi aveva detto che mi avrebbe chiamata prima delle sette e non l’ho poi   più sentita; è successo qualcosa? Sta bene?”

Il sangue inondava già metà della stanza e io, sullo specchio Ikea apparivo pallido; mi tremava la mano destra che reggeva la cornetta e non dico di quali pensieri la mia mente era annebbiata. Pensavo alla piatta felicità dell’Oblomov di Goncarov, ma pensavo anche all’inventore della ghigliottina a cui, da giudice, avrei dato piena libertà per non aver commesso il fatto; nello stesso tempo, riflettevo sulla schiavitù, il nazismo e la deca/pitazione. Come dev’essere stato bello non possedere cultura; essere nato in un rione camorristico della Napoli male, o aver conosciuto da bambino Riina e Provenzano. Ricordavo mio padre quando affilava, coltello contro coltello, per recidere la testa del maiale e uncinarla alla vista dei clienti. Invece dissi: “No mamma, è che siamo andati fuori a cena e Marilù si sarà dimenticata di chiamarti.” – “Grazie caro, mi raccomando, trovati in fretta un lavoro perché diventi padre.”

Voi he avreste fatto e che avreste detto? Passavo per uno che diceva sempre quel che pensava ma in quella occasione mi mancarono le parole. Fu la forza dell’amore! Io amavo non solo quel 25 dicembre ma anche Marilù che fingeva di non accorgersi della mancanza di spessore tra le pagine 24 e 26.

Marilù, io ti amo e per amore non ho mandato a cagare quella….di tua madre!

Milano, in autunno propone cieli striati che preannunciano una chiara giornata. 

Ho ripulito il tappeto, fasciato il dito, ho fatto la pace con Gesù Bambino, buttato via  il catalogo Ikea (ne stampano più copie della Bibbia e hanno comprato in Russia un intero bosco per farne carta da catalogo), ho controllato che Marilù non avesse udito niente, ho preparato un caffè senza zucchero, anzi con tanto zucchero per addolcire la sventura ed eccomi finalmente qua con le mie future centottantaquatto speranze di riuscire a scrivere qualcosa.

Mumble… mumble..il rumore dei tasti nella mia testa…..e il suono dell’ultima parola di quella stronsuocegrassavaccaviperadimiasuocera: padre.Una bella parola si,… padre. Mio padre, mio nonno, io.

La storia/racconto da 184 euro; Marilù col suo amore, io col mio trascorso da macellaio e quell’editore-padre-critico-romantico mi facevano venire in mente il Che fare? Di Lenin. Eh si, perché io l’ho letto! Forse, se non l’avessi letto oggi sarei un impiegato di banca o magari uno scrittore creativo americano. Tutta colpa di Moravia e dell’esistenzialismo sartriano. Di Pavese no, poverino, lui ci credeva davvero  ed era onesto con se stesso. Non come i suoi corregionali che andarono nel sud quando ancora non lo era; che poi lo fu e che tale rimase.

“Padre”, che significa non essere più da soli ma in compagnia; Padre, che dovrò pur insegnargli qualcosa: calcio, teatro, libro, arte, menzogna, verità.

Scopro che non m’interessa più di scrivere un racconto per il mio caporedattore. Che vada a prenderla in quel posto. Io non invento false storie per un euro e cinquanta a copia. Vediamo un pò: facciamo un pò di conti:

centottantaquattro euro di guadagno, diviso unoecinquanta (prezzo medio di un quotidiano), uguale  a 122,666666666666667 copie. Ma non stampano solo quelle; alcuni giornali viaggiano a centotrenta/quarantamila copie e per cumulare i miei 184,00 euro, ogni lettore dei centotrenta/quarantamila copie mi pagherebbe uno 0,0014 circa di euro.

E io, per quel misero 0,0014 di coglionate che invento, correrei il rischio di creare centotrenta/quarantamila votanti per il Grande Fratello, o peggio, per uno di quei ladricorrottifiglidisuamadreedisuopadre di politici?

No, molto meglio mia suocera! Spinto da un moto copernicano, compongo il numero e a bassa voce dico: “Ciao mamma, scusa se ti chiamo a quest’ora, sono quasi le due di notte; volevo dirti che ti voglio bene e che sono contento di diventare padre.”

Non ho aspettato la risposta; ho chiuso sulla parola padrepuntovirgolette e mi è venuta giù una lacrima dall’occhio destro. Ho pensato che fosse collegata alla ferita del quinto dito del piede destro. Sicuramente dev’essere così perché io, come uomo, non piango, però mi commuovo un pò. In fondo sono un romantico poeta tardogotico.

Intanto, considerando che da Leopardi in avanti tutti i poeti hanno da svolto una seconda attività per via del rantolo quotidiano che canta all’ora del pranzo, decido di scrivere per quel poco che mi pagano.

Mumble… mumble,…il rumore dei tasti nella mia testa….sviss…svisss… la fantasia che s’insinua tra l’onestà e il malaffare.

Provo a ricordare qualche vecchia storia di quartiere di quand’ero bambino e vivevo lontano da Milano. Magari la lego a qualche fatto di cronaca di qualche anno fa; magari cambio i nomi, le date, i personaggi e arrimagari faccio finta che sia successo ieri e che solo io, per una fortuita coincidenza, ne sia venuto a conoscenza. Proprio come quando László Bíró, in una giornata piovosa a Budapest, vide giocare dei ragazzini per strada e notò, per pura coincidenza osservativa, che una biglia sfarfallina, dopo aver attraversato una pozzanghera, lasciava sul terreno una scia di colore umido e fangoso. Gli venne in mente la brillante e scorrevole idea d’inventare la penna-a-sfera. con la quale la Bic ricavò un una pioggia di soldi. “Ottima quest’idea…” -pensai- “…mi fa venire in mente le similitudini di Omero”. Di colpo la mia indole algebrica partorì la seguente equazione: Bíró sta ad Alberto come i ragazzi budapestiani stanno ai fatti della cronaca, diviso passato e presente. Una fortunata coincidenza: “Posso cominciare!

13 maggio 1971, venerdì, Corriere della Sera:

Milano: 2Giovane dell’Ultrasinistra si appropria indebitamente di una bottiglia di Prosecco di Valdobbiadene alla Essssssselunga di via Tortona; ne segue una colluttazione con gli agenti di sorveglianza e una donna per lo spavento partorisce sul banco dei surgelati.”

22 febbraio 1981, l’Ora di Palermo:

Palermo: “Gruppo di politici implicati nello scandalo dellaUrbana Nettezza, associata allelocali cosche per la spartizione delle aree immondizzarie del mercato ortofrutticolo della città.”

11 Ottobre 2017, mercoledì, L’Avvenire:

Milano: “Parroco ubriaco all’interno del confessionale, nell’esercizio della pratica assolutoria, su di una fedele Turcomanna. Confusione sulle indulgenze e numero inappropriato di Ave, Gloria e Gratia Dei.”

Niente male. Potrei mettere insieme queste notizie e fare apparire tutto come una  congiura, tramata ai danni della Curia Arcivescovile di Milano, ad opera di gruppi dissidenti, antiabortisti, con implicazioni della CIA          che ha fatto ubriacare il parroco, intimorendolo con la minaccia di rendere pubblico quel fattaccio del 1971, quando lui aveva ingravidato una donna ebrea, madre di un figlio-colpa, partorito a Palermo, e diventato poi capo riconosciuto del traffico urbano dei rifiuti ortofrutticoli di Palermo. 

Veramente una bella storia, raccontata in maniera credibilmente interessante che fanno riscuotere con poco sforzo centottantaquattro euro.

Marilù russava nella stanza attigua allo studio, quella da letto. Andai a guardarla per un attimo mentre dormiva; il tempo di vedere sul suo viso i segni dell’imminente maternità rispecchiata nella mia vicina paternità. Mancava poco al parto e non sembrava affatto che stesse per partorire. Alcune donne non portano la gravidanza sulla pancia ma sul viso. Infatti la pancia di Marilù non era partoriente ma aveva la stessa forma che si sviluppa quando si son fatte cene pesanti con molti legumi, fritto di pesce, anguria estiva e cassate ben innaffiate di moscato e zibibbo.

Lo zibibbo ha più zuccheri del moscato invecchiato perché glieli aggiungono.

Uno si chiede: “Ma come si fa a imbottigliare tanto zibibbo quando i vigneti sono in via di estinzione?” Poi quello ci ripensa, si risponde: “Perché ci aggiungono lo zucchero!” E si dice “Bravo!”

E io dovrei portare la mia storia-racconto-di-false-notizie-appiccicate al mio caporedattore, con quelle poche verità sulle quali ho versato aceto al posto dello zucchero?

Aceto, si! Perché anche il mio giornale, condiviso dalla Curia locale, ama lo scandalo: tira e fa vendere di più. E’ Marilù quella che lavora in un settimanale zuccherino che trasforma l’acqua in zibibbo.

E se, in futuro, mio figlio, scoprisse l’alambicco acetoso, nascosto in cantina, che direbbe di/a suo padre?!

Una voce da  l o n t a n o   giunse in forma di  v o l u m e alle mie orecchie,già ripulite dal precedente sputo del caporedattore, e vi s’incuneò dentro nitida, chiara e convincente: “Aa a aAlbert, machitofafa?

Appunto, chi me lo faceva fare? Solo per dover restituire quei cento eurozzi al 25 dicembre di Marilù che mi amava tanto pur avendo capito come finanziavo le nostre cene? Per compiacere centotrentamila lettori che il giorno dopo mi avrebbero dimenticato?

Pensai che certi uomini, giornalisti, politici, mercanti, ciarlatani, professori, mentitori, giudici, impresari, commercianti, negozianti, intellettuali, scienziati, miscredenti, sportivi, artisti, cantanti, medici, avvocati, ingegneri, pompieri, fognaroli, architetti, impiegati, becchini, spazzini (pardon, operatori ecologici) diversamente tutti abili e no, rachitici, tossicomani, ubriachi e moralisti, figli non dovevano averne se portavano a casa quel tipo di racconti. Io invece, a giorni sarei diventato padre di un figlio che, scoprendo un giorno le mie malefatte letterarie,  avrebbe avuto tutto il diritto di sputarmi in faccia. Così, tra lo sputo dentro le orecchie e quelli sulla faccia sarei diventato bianco e bordato di blu, come le sputacchiere della mia scuola elementare. E così vi ho detto, all’incirca, anche la mia età.

Lenin, Che fare?” Non si può mica sparare anche sui contadini, oltre che sugli Zar! 

Paladini di Francia, non è che tutto il mondo sia Roncisvalle!” “Sigmund, non è che possiamo stare lì per anni, aspettando che il Superio ci dia una botta in testa fino a farci rinsavire!

E quello, il mio caporedattore, aveva detto: 

“…e non tornare se non hai in mano, anzi un racconto credibilmente interessante da sbattere in cronaca…..” E poi, quando già scendevo l’ultimo gradino: “…e senza   storia non c’è bisogno che torni, riceverai a casa il saldo per quel poco e male lavoro che hai scritto da quando sei arrivato qui!”

Non è facile prendere una decisione. Masturbarsi dura un attimo e poi il tarlo continua a tictaccattare dentro la testa. Nel frattempo era già finita la bottiglia del Signor Gionny Wuolcher e una risposta esauriente era richiesta dalla mia mente.

A Milano lo sferragliare dei tram nelle prime ore del mattino ha il suono del caffè. A ogni scambio di rotaia è come se cadesse nella tazzina una zolletta di zucchero. Ogni fermata è un sorso.

“…e non tornare se non hai in mano un racconto credibilmente interessante da sbattere in cronaca…..”

Fossi stato Ulisse avrei arroventato il pennino della mia stilografica Lamy – io sono un letterato e le biro mi sanno di pozzanghera- per infilarla nell’occhio sinistro del mio caporedattore. Sinistro, perché fino adesso è stato tutto di destra, non solo l’alluce ma anche la Nutella, sdoganata fortunatamente da Nanni. Al posto degli otri ciclopici colmi di vino, gli avrei trafugato i duecento eurozzi, fuggendo in fretta  da quella giornalistica caverna con quei giornalai da strapazzo com’io non volevo diventare. Si, “com’io, alla vecchia linguistica pirandelliana maniera, perché io voglio essere di vecchia maniera.

Questa espressione vecchia maniera” mi riportò di colpo a mio padre. Un giorno, sul marciapiedi, lui depositò cinque bigliettoni nelle mani sconosciute del proprietario di un appartamento che mio padre voleva comprare.

Ma non ti sembra da sprovveduto fidarsi di una persona che non conosci?

Ma non vedi…” -Rispose- “… quella è una persona per bene!

Una persona per bene! Disse e concluse l’affare diventando proprietario di quell’appartamento. In forza della parola d’onore che s’erano data…sti cazzi!

Parola d’onore e vecchia maniera. Ma guarda un pò: anch’io voglio essere di vecchia maniera! Voglio proprio essere di quella vecchia.

Vediamo un pò: come potrebbe essere una maniera di essere? Vecchia, nuova, intermedia, moderna, antica, abituale, tradizionale, consunta, futuribile, marziana, lunare, classificabile, vittoriana? Io sceglierei una maniera che sia un pò di tutto ma principalmente che sia mia. Una maniera che non sembri manierista né manierata ma che sia semplicemente di buona maniera. E quante maniere possono esserci che siano buone? “Quella che resta dopo aver scartato quelle cattive.” Direbbe quel contadino dopo aver scartato le mele coi vermi.

E dove  e quanti sono i vermi intorno a noi? 

Perché non la smetti di mugugnare e di agitarti sullo scricchiolio del divano e non vieni a dormire?” Rantolò nel quasi sonno Marilù. “Si amore, rileggo l’ultima pagina e vengo. Dormi tranquilla”.

Invece avevo ancora scritto una riga e quel mumble… mumble… era ancora quel solito rumore dei tasti nella mia testa. Lei forse pensava che si trattasse di quella lettera 22 di Indro, che non usava mai, visto che la si vede sempre in verticale su tutte le foto. Una volta che rimase senza sedia, per colpa di qualche politico o per la sua arroganza, si sedette a terra con la sua Olivetti contro il muro e quella è l’unica foto in cui lo si vede scrivere. Marilù forse pensava che si trattasse della macchina da scrivere perché lei è un pò antiquata e un tantino ingenua. Infatti è per questo che scrive su Donna Libera&sana, rispondendo alla posta del cuore. Non dico quel che mi racconta delle sue lettrici. Camilla di Voghera le scriveva che una volta…..

Divento padre e cosa gli dico? No a lui, a mio figlio, ma al caporedattore. Quello appena mi vede mi guarda le mani e se non vede un malloppo arrotolato in formato A4 con righe orizzontali a forma di parole, mi risputa dentro le orecchie: “licenziato!” Potrei portarmi una scorta di scottex e magari uno sgrassatore per togliere l’unto dello spaghetto olio-aglio-peperoncino che lui, meridionale, s’ingrippa tutte le sere. Magari ha già pensato di farlo rileggere e modificare prima di pubblicarlo, cambiandone la stesura. Togli qua, aggiungi là, via questo, via quello e i miei 184 euro prendono il largo: metà parole=metà paga. Cento84= novantadue!

Si amore arrivo.” E ripenso a mio padre che andando a dormire diceva: “A notti porta cunsigghiu”. Cosa che io feci per il gran  rispetto che ho sempre portato a mio padre.

3

Ma no amore, non puoi mettere una cravatta a righe orizzontali con la camicia a righe verticali. Metteresti una calza al posto di un guanto?

Quando parla così io penso che non sia solo ingenua ma anche un pò scema; almeno quando fa i paragoni. Invece rispondo: “ E allora Cristoforo Colombo che era convinto di trovarsi nella futura Manhattan, quando invece stava da tutt’altra parte di mondo?

So già: lei penserà, senza dirlo, che alcune volte sono proprio scemo, almeno quando faccio paragoni.

E’ così che va la vita: si pensano cose che non si dicono e si dicono cose che non si pensano. Poi succede che lei ammazza lui o viceversa perché si erano capiti male.

Comunque, metto di nascosto un cravatta a palle sul mio principe di Galles alla vecchia maniera; le dò un bacio, una carezza alla pancia con mio figlio dentro e schizzo via sbattendo la scarpa con dentro il quinto dito destro, contro la porta dell’ascensore. Zoppicando mi porto alla fermata del metrò linea verde.

Ormai dentro le vetture della metropolitana non vedi più le facce delle persone ma i pidocchi sui capelli. Stanno tutti a guardare lo schermo dei telefonini e la fantasia ti porta a immaginare le onde sul mare genovese…per noi che stiamo in fondo alla campagna, quella lombarda.

Non so ancora come mi comporterò e per precauzione ho messo nella borsa lo grassatore, una mia foto 20 x 30 a colori per farmi ritrovare nel caso in cui mi perdessi e alcuni fogli in formato A4 in bianco. Sono le 9 e 35 am.

Il mio caporedattore è già lì, dalle sette. Scopa poco la sera lui. Io quasi niente per via della grazia, ma almeno penso. Arrivo. Lui mi guarda le mani e vede la borsa; guarda la borsa e torna su di me. Vede che ho la solita faccia e non si scompone. Puzza di aglio. Gli passano una telefonata e non la prende. So che mi odia e non mi ama. Per lui sono inadatto al giornalismo e pensa, senza dirlo, che avrei dovuto continuare a fare il macellaio. Mentre ciondolo poso la borsa sulla sedia. Non l’apro. Lui aspetta che io dica qualcosa ma la sua presuntuosa impazienza lo fa parlare per primo: “Allora?” “Ecco” -gli dico- “Eccomi qui. Sono io il suo racconto credibilmente interessante.

Prima ancora che il suo aglio diventi alito sono già volato via. Libero di scrivere un altro credibile interessante racconto che non verrà pubblicato.

Magari lo conserverò per mio figlio.

Salvo Cansone-Ottobre 2017